ROMA – Serata di grande intensità ieri sera a Roma, nel palazzo del Collegio Romano che ospita il Ministero della Cultura, per la consegna del Premio Internazionale “Tacita Muta” per le minoranze linguistiche in occasione della Giornata Unesco della Lingua Madre.
Si è parlato tantissimo di Calabria e soprattutto di minoranze etniche e di tradizioni arberesche, un tuffo in un mondo magico che richiama il ruolo fondamentale della lingua antica di questo popolo erede di Skanderberg: l’arbëreshë.
Una serata che anticipa davvero alla grande il periodo pasquale delle comunità italoalbanesi di tutta Italia e dove la parola “Vallje”, per esempio – sono i balli tradizionali di questa stagione dell’anno – trasuda di misticismo passione e tradizioni millenarie.
Non si poteva fare, alla Calabria soprattutto, regalo più bello di questo, un Premio che diventa veicolo di comunicazione della storia di questo popolo ad una platea fatta di giornalisti, intellettuali, scrittori, storici e studiosi alcuni di loro arrivati persino dagli Stati Uniti.
«Vi porto il saluto personale del ministro Gennaro Sangiuliano – ha esordito Emanuele Merlino, capo della Segreteria Tecnica del ministro della cultura – che ha offerto al pubblico presente nella Sala Spadolini una vera e propria lezione di storia albanese, dando sfoggio di una patrimonio culturale che è sempre più raro trovare in Grand Commis di Stato come lui».
Carlo Parisi, segretario generale della Figec Cisal, dal canto suo ha sottolineato che «tutelare le minoranze linguistiche significa rispettare e valorizzare le espressioni culturali delle nostre comunità secondo i dettami della Costituzione. Cultura, tradizioni, lingua, costumi, sono infatti espressioni di pluralismo che rappresentano una ricchezza per il nostro Paese perché è nel rispetto della diversità che si misura il grado di democrazia di un Paese».
Ammonendo che «le 12 minoranze linguistiche oggi riconosciute e tutelate dalla legge in Italia non devono essere semplicemente salvate dall’estinzione, ma valorizzate con concreti impegni», il segretario del nuovo sindacato dei giornalisti e degli operatori dell’informazione, della comunicazione, dell’arte e della cultura ha ricordato che il 2023 è stato l’anno del Turismo di ritorno, quello di «un’Italia fuori dall’Italia superiore all’Italia.
L’Italia degli italiani all’estero che, tra emigranti e discendenti, conta circa 80 milioni di persone e che è interessata alla scoperta delle proprie origini e ai propri borghi. Tra questi ci sono anche le comunità delle minoranze linguistiche che fanno dell’Italia un Paese meraviglioso che ha bisogno di conoscere e comprendere la propria storia (fatta anche di persecuzioni e di massacri) per fare della civile convivenza la normalità che stronca sul nascere ogni rigurgito di odio nei confronti di chi ha il solo torto di avere un’idea diversa dal pensiero unico o di voler semplicemente rimanere fedele alle proprie tradizioni».
«La Figec Cisal – ha sottolineato Parisi, presente all’evento con i consiglieri nazionali Mario Nanni, Pino Nano e Santo Strati – si ritrova pienamente in questi valori, aborrisce il pensiero unico ed è impegnata nella difesa e nella valorizzazione della cultura in tutte le sue espressioni, in nome di un pluralismo che spesso nel nostro Paese si ferma ad una mera espressione di intenti».
Sulla «testimonianza reale di quanto valga ancora la nostra storia» si è soffermato Pierfranco Bruni (presidente della Commissione della Capitale Italiana Città del Libro del Ministero della Cultura), anima di questo premio con tutto quello che è il suo mondo di intellettuale meridionale legato alla sua terra di origine e alla storia dei suoi avi. Come non ricordare il suo poderoso saggio-racconto dal titolo “Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella Letteratura contemporanea” che è una testimonianza emblematica del suo pensiero e dove lo scrittore calabrese spiega che «il mito è la chiave di lettura, che permette di sfogliare la margherita del tempo e della vita».
Tutta la sua poetica vive di queste atmosfere, e questo in sala lo si coglie perfettamente bene. L’uomo non ha mai creduto al realismo in letteratura. Il realismo è cronaca – ha spiegato – è rappresentazione, è documento. Il simbolo, invece, è mistero. È metafora, è fantasia, è sogno».
Più che un saluto il suo diventa una lezione accademica sulla storia della grande tradizione orale del popolo arberesche: «La letteratura e la vita senza il sogno, l’amore e l’ironia non avrebbero senso. L’amore quando è sogno ha sempre delle illuminazioni. Gli orizzonti sono nel viaggio e le albe e i tramonti possono anche somigliarsi ma non hanno mai lo stesso colore. Lungo il mio cammino ci sono stati e ci sono molti libri incompiuti, ma non ho alcuna intenzione di definirli. Non viaggio per ritrovarmi perché sono convinto che gli approdi non sono mai consapevolezza e che gli arrivi s’intrecciano con le partenze e i ritorni e vanno sempre oltre Itaca».
E qui Pierfranco Bruni, partendo dalle sue origini, racconta il dopo della sua vita: «Sono stato per lunghi periodi in realtà come la Tunisia, la Turchia, l’Albania, come rappresentante della cultura del Ministero della Cultura in questi Paesi. Non solo conoscenza diretta, dunque, ma fascino e mistero hanno rappresentato non un dato sociologico ma chiaramente antropologico e letterario. Questi luoghi sono nei miei racconti o meglio sono in tutto il mio raccontare… Il Mediterraneo occidentale con i miei viaggi in Grecia inizialmente si è trasformato in un Mediterraneo orientale e direi in un Oriente. O meglio negli Orienti».
Per arrivare poi alle motivazioni di fondo del Premio, che da oggi diventa anche un evento internazionale, andato a Marisa Margherita. Questa di quest’anno è la sesta edizione del Tacita Muta per la lingua e la cultura italo-albanese.
Un Premio ideato da Neria De Giovanni che nel suo libro “Tacita Muta la dea del silenzio”, ha scoperto come l’Unesco abbia dedicato il 21 febbraio alla Giornata della Lingua Madre, le lingue “tagliate”, straordinaria coincidenza con la festa dell’antica Roma intitolata alla ninfa Tacita Muta cui Giove aveva tagliato la lingua.
Il premio è promosso dall’Associazione Internazionale Critici Letterari, dal Gremio dei sardi di Roma e dal Fondo VP Sardinia ed organizzato dall’Associazione Salpare.
Nel leggere la motivazione, Pierfranco Bruni di Marisa Margherita ha detto cose bellissime: «Originaria di San Marzano di San Giuseppe in provincia di Taranto, per i suoi studi innovativi e le pubblicazioni sulla cultura e sulla lingua italo-albanese nel significato della tutela e valorizzazione dell’etnia».
La giornalista Neria De Giovanni, presidente dell’Association Internationale Critiques Littéraries, ha ricordato che nelle edizioni precedenti sono stati premiati studiosi di varie minoranze Linguistiche.
Da Eva Martha Eckkrammer per le minoranze linguistiche caraibiche a Piero Marras per la lingua sarda, Silvia Piacentini e Caterina Fiorentini per la lingua friulana, Rut Bernardi per la minoranza della lingua ladina e Antonello Colledanchise per il catalano-algherese. Dietro a tutto questo si muove, infatti, la Giuria del Premio, e anche qui siamo ai massimi livelli della cultura italo-albanese: da Neria De Giovanni (presidente) allo stesso Pierfranco Bruni, da Eva Martha Eckkrammer (Università di Mannheim) ad Antonio Maria Masia (presidente del Gremio dei Sardi di Roma), a Valentina Piredda (Fondo Valentina Piredda – Sardinia).
– Presidente Bruni, qualche anno fa ha pubblicato “Lo sciamano e la curandera” in cui, però, il dato autobiografico mia pare sia molto presente…
«Proprio vero. Qui è come se giocassi con la metafora e con la metafisica della memoria. È un romanzo, anche questo in forma prosimettica, in cui ho vestito dei panni dello sciamano mio padre e la curandera è mia madre. C’è tutto il mio essere figlio e padre in questo romanzo con una forte tradizione che per me resta costantemente una forte eredità. Dopo “La bicicletta di mio madre” del 2011 questo è il libro più intimo in cui ogni parola è una ricordanza dentro la nostalgia del tempo».
– Libri, insomma, a cui uno scrittore rimane legato per sempre…
«Direi di sì per un fatto esistenziale. Ma io le dirò resto legato a tutti i miei libri perché parto da un presupposto: ogni scrittore non fa altro che scrivere il proprio diario. Anche in un libro di poesia come “Asmà e Shadi” che risale al 2006, sempre nei miei Orienti, la fantasia diventa la finzione del vero».
– Ma anche “Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio” mi pare sia un romanzo propriamente autobiografico…
«Assolutamente sì, autobiografico. Certamente autobiografico. Qui non ci sono però metafore. È un romanzo verità. In un cassetto della mia casa in Calabria ho trovato libri e appunti di mio padre. Nella sua biblioteca c’erano tutte le opere di Carolina Invernizio. Una scrittrice che veniva letta negli anni trenta del Novecento. In ogni libro ci sono chiuse fatte a penna rossa e a matita da mio padre. Scriveva appunti, commenti e riflessioni. Un fatto che mi ha molto colpito. Leggeva questa scrittrice quando lui aveva 12 o 13 anni. Mi sono fortemente commosso. La vita in fondo è emozione».
– I suoi genitori da quello che ho letto le mancano ancora tantissimo…
«Mio padre e mia madre sono stati e sono dei punti di riferimento e dei ponti di tutta la mia vita. La scrittura a volte ci riconcilia a ciò che non abbiamo più».
– Prossimo appuntamento?
«Sempre qui, spero, per la prossima edizione del Premio. Aspetto anche voi». (giornalistitalia.it)
Pino Nano