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Rino Barillari: The King of Paparazzi

ROMA – Forse non è “la terza parola italiana più conosciuta al mondo, dopo pizza e Ferrari”, perché ce ne sono altre due conosciutissime: pasta, e, ahinoi, mafia. Ma di sicuro “Paparazzo”, che negli States declinano al plurale, “Paparazzi”, anche quando è singolare, è fra le parole italiane più note e più usate al mondo. Che poi, come Ferrari, sarebbe un nome proprio: ma per metonimia è diventato un nome comune, indica una categoria dai confini confusi ed indeterminati di fotografi d’assalto; e non sempre viene usata con connotazioni positive. Oh, intendiamoci: non ha niente a che vedere con certi “fotografi” violatori d’intimità a scopo di ricatto, ma, insomma, da molti viene considerata come una schiera di troppo invadenti fotografi mondani, sempre a caccia di uno scatto rubato in situazioni borderline…
Ma se qualche fotoreporter si vergogna d’essere definito “paparazzo”, protestando d’essere un cronista, un giornalista, c’è un signor giornalista, conosciuto ed apprezzato a livello mondiale, probabilmente il più noto fotoreporter italiano vivente, Rino Barillari, che di essere un paparazzo si fa un vanto. E sfodera con orgoglio il titolo di The King of Paparazzi conferitogli da chi quella parola l’aveva “inventata”, Federico Fellini, che l’aveva fatta diventare in tutto il globo sinonimo intraducibile di fotografo d’assalto in un film che è fra i capolavori assoluti della cinematografia mondiale: “La dolce vita”.

Rino Barillari “The King”

Paparazzo è, nel film di Fellini (ma anche di Flaiano e Pinelli, soggettisti con Fellini e con lui sceneggiatori, insieme con Brunello Rondi e lo zampino di Pasolini, per non dire di Nino Rota, autore delle musiche), il fotografo mondano che accompagna nelle sue scorribande romane, a via Veneto e non solo, il cronista mondano Marcello.

Rino Barillari con Federico Fellini

Il nome l’avrebbe ideato Fellini (altri dicono Flaiano: ma fra i due c’era costante interscambio), prendendo in prestito quello di un albergatore calabrese – Coriolano Paparazzo – citato da George Gissing in “Sulle rive dello Jonio”, una intrigante ripresa tardo-ottocentesca della letteratura di viaggio nel Mezzogiorno, che Fellini stava leggendo al tempo.
Ispirato al leggendario Tazio Secchiaroli (che fece anche da “consulente” per sceneggiatura e film, e poi diventò uno dei più noti fotografi di scena internazionali), Paparazzo diventa subito “il nome di una categoria, di uno stile di vita, di una professione”, come commenterà Irene Bignardi. Altri celebri paparazzi degli anni ’50 furono Marcello Geppetti, Ivan Kroscenko (il primo ad essere incoronato King of Paparazzi, titolo che poi, auspice Fellini, passerà nel 1990 a Barillari), Paolo Pavia, Antonio Tridici, Elio Sorci.

Rino Barillari

E poi c’è lui, Barillari Saverio detto Rino, da poverissima famiglia di Limbadi, giunto appena quattordicenne, nel 1959, a Roma, dove s’arrangia: dorme a cielo aperto, nei prati di villa Borghese, poi trova una misera sistemazione in una stanzuccia con tre letti, che condividono in 5, dormendo a turno. Per guadagnare qualche lira fa una specie di servizio d’ordine per conto dei fotografi di strada, i cosiddetti “scattini”, che scattano foto ai turisti alla Fontana di Trevi: tiene lontana la gente, per quanto possibile, dai soggetti da fotografare.
Giovane e curioso, Rino si dà da fare ed apprende i rudimenti della fotografia. Dopo qualche mese, uno degli “scattini” che ha un altro impegno gli chiede di fare lui le foto ai turisti: “è facile, ti metti a tre metri e scatti”, gli dice, affidandogli la sua macchina fotografica. E Barillari non smetterà più.

Rino Barillari

Coi primi, modesti guadagni, acquista a Porta Portese una Comet Bencini usata, la sua prima macchina fotografica. E inizia a fare il fotografo di cronaca, immortalando angoli e situazioni curiose: non ancora i vip ma sartine che cuciono accanto alla fontana della Barcaccia di piazza di Spagna, un lustrascarpe all’opera in via Veneto, lo spazzino in via Condotti, una bambina sotto un gigantesco ombrello per strada durante un acquazzone.
Ma a partire dal ’60, l’anno in cui arriva nelle sale cinematografiche “La dolce vita” ed esplode letteralmente la voga di via Veneto, ma anche l’anno dei Giochi Olimpici e delle grandi produzioni cinematografiche che faranno parla di una Hollywood sul Tevere, il giovane Rino intuisce che l’Eldorado dei fotografi è lì, e che fotografare un divo, meglio ancora una coppia più o meno irregolare, più o meno chiacchierata, consente di portare a casa più di quanto fruttano cento scatti ai turisti.

Rino Barillari

Non dà nell’occhio, e complice la giovane età ruba il mestiere ai paparazzi più celebri. I suoi scatti sono sempre veloci, frenetici, ha l’occhio clinico, e sta imparando a riconoscere i protagonisti del jet set. E in breve tempo Barillari si fa un nome, accolto alla pari dai grandi paparazzi dell’epoca e ben conosciuto e remunerato dalle agenzie fotografiche e dai giornali.

Rino Barillari

Fotografa Richard Burton e Liz Taylor, Walter Chiari ed Ava Gardnere (Walter Chiari, per l’anagrafe Annicchiarico, è un soggetto pericoloso da fotografare: ombroso, geloso della riservatezza, atletico, con trascorsi da pugile, mena duro, e fracassa alla pari macchine fotografiche e facce di fotografi…

Rino Barillari durante uno dei suoi numerosi ricoveri in ospedale

una sequenza che lo immortala mentre insegue Secchiaroli che lo aveva paparazzato con la Gardner è stata scattata da Sorci), Sophia Loren e Carlo Ponti, Roger Vadim e Jane Fonda… e poi Tennessee Williams e Anna Magnani, Anita Ekberg, Anthony Quinn, Ingrid Bergman, Marina Lante della Rovere, Nureyev che passeggia per via Condotti con Robert Kennedy, John Wayne, Audrey Hepburn, Hitchcock, Catherine Deneuve, i Beatles;

Rino Barillari con Gina Lollobrigida

e ancora, la regina Elisabetta e la principessa Irene d’Olanda, che va sposa a Santa Maria Maggiore in un tripudio di fotografi e giornalisti; e ancora Gassman (Vittorio) con le sue varie fiamme, tradite o traditrici, Brigitte Bardot con Gunter Sachs, Catherine Deneuve e Marcello Mastroianni, De Laurentiis e Silvana Mangano…
Agenzie e riviste acquistano gli scatti bollenti a caro prezzo, ma è denaro guadagnato non solo con faticosi appostamenti ma anche con autentici pestaggi. Peter O’ Toole, per esempio, che è sposato, viene ritratto in flagrante con Barbara Steele: insegue Brillari e gli fracassa in testa la macchina fotgrafica, ma il giovane Rino, che è ancora minorenne, e finisce al pronto soccorso (una delle 163 volte…), dove gli applicano punti di sutura sul volto e su un orecchio, ha salvato il rullino.

Rino Barillari aggredito da Franco Nero a Fontana di Trevi (Foto Marcello Geppetti – MGMC & Solares Fondazione delle Arti, 1965)

Le foto vanno a ruba, e faranno il giro del mondo, ma anche la brutale aggressione ai danni di un ragazzino, il che contribuirà a creare la leggenda di Barillari. O’ Toole, oltretutto, sarà costretto a pagare a Barillari padre un risarcimento milionario. Rino si scontra anche con le guardie del corpo di Frank Sinatra, con Aznavour, con Claudia Schiffer, viene inseguito minacciosamente da Gunter Sachs, menato da Franco Nero, mentre Sonia Romanoff gli spiaccica in faccia un cono gelato…
Ma il mondo sta cambiando, la vita non è più dolce, arriva il ’68. Barillari dal 1964 fa il fotoreporter per Il Tempo, poi passa al Messaggero, dove diventerà caposervizio, e segue le manifestazioni di protesta che si susseguono, sempre più violente, a partire dal ’68: cortei studenteschi, rivolte di detenuti, occupazioni delle case e guerriglia urbana a San Basilio. The King subisce percosse da manifestanti e talvolta poliziotti.

Rino Barillari con Sofia Loren

Gli anni ’70 ed ’80 sono di terrorismo diffuso e di violenza, e vedono Barillari in prima fila per documentare attentati, omicidi, rapimenti, fattacci di nera, arresti come quello di Alì Agca ed Enzo Tortora. E poi il rapimento di Aldo Moro con la strage di via Fani, l’assassinio dello statista democristiano, il cui cadavere sarà fatto ritrovare in via Caetani, l’assalto stragista, un anno dopo, alla sede Dc di piazza Nicosia.
Il fotografo “rosa” è in prima fila, a documentare gli anni di piombo. Con la consueta maestria, l’impegno “h 24”, lo sprezzo del pericolo, all’insegna di un motto apparentemente cinico: “la guerra è guerra”. Anzi, come lo pronuncia lui, ormai romanizzato, “la guera è guera”; o anche, più immediato, “Dio perdona, Barillari no”.

Rino Barillari con la moglie Antonella Mastrosanti

Le foto vanno scattate. Costi quel che costi. E poi i morti per droga, le stragi di mafia; ma anche i potenti del mondo in visita a Roma, il Papa che gioca a bocce, il ritorno di una specie di Hollywood sul Tevere in formato ridotto negli anni Duemila… fino ad arrivare alle grandi celebrità (dello spettacolo, dello sport, della politica, della Chiesa) che vogliono farsi fotografare con lui…

Rino Barillari e Papa Francesco in occasione della storica visita alla redazione del quotidiano Il Messaggero l’8 dicembre 2018

La carriera di un paparazzo, un giornalista completo, beninteso, che è stato peraltro dal 2001 al 2004 (presidente Lorenzo Del Boca) come me nel Consiglio nazionale dell’Ordine.
È ancora sulla breccia, scatta ancora fotografie, e si è anche rimesso in gioco al servizio della categoria e del mondo dell’informazione come socio fondatore e consigliere nazionale della Figec Cisal. Ancora una volta con me, con Lorenzo Del Boca e Carlo Parisi.
Nel nuovo sindacato del mondo dell’informazione, del giornalismo, dell’editoria, della comunicazione, dell’arte e della cultura, dove ha portato, insieme con la sua indiscussa competenza e la sua fama mondiale, il suo allarme su un uso censorio della “riservatezza” che rischia di cancellare non solo il diritto di cronaca ma anche un patrimonio di immagini che hanno fatto la storia, rosa bianca e nera, dell’Italia.
Gli sono stati recentemente dedicati due libri, ovviamente in prevalenza fotografici: “Rino Barillari. Una vita da paparazzo. L’Italia dalla Dolce Vita ad oggi vista con gli occhi di un reporter” (Rosebud 2, 2021, catalogo della mostra di Todi, a cura di Monica Di Giacinto, 91 pagine, 19,76 euro); l’altro, di grande formato, bilingue, a cura di Giancarlo Scarchilli e Massimo Spano, “Rino Barillari. Il Re dei Paparazzi. The King of Paparazzi” (Istituto Luce Cinecittà ed Edizioni Sabinae, 272 pagine, 30 euro), è apparso nel 2018, con prefazioni di Oliviero Toscani e Irene Bignardi, e raccoglie le foto esposte in una grande mostra al MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo.
Sempre nel 2018 Scarchilli e Spano realizzano un film, “The King of Paparazzi. La vera storia”, che nel 2019 vince il Nastro d’Argento assegnato dal Sindacato giornalisti cinematografici, sezione documentari, mentre Barillari viene premiato col Nastro speciale come protagonista dell’anno. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

Giuseppe Mazzarino e Rino Barillari

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Giuseppe Mazzarino

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