ROMA – «In tutti questi anni mi sono occupata di tutela del risparmio privato, ho lottato contro l’usura bancaria, a favore dello scorrimento delle graduatorie delle Forze dell’Ordine, per una migliore gestione dei rifiuti in Calabria; ho contribuito a difendere le associazioni basate sul territorio, spesso minacciate dalla criminalità organizzata, e alla salvaguardia dell’ambiente, insieme alle tante espressioni della società civile calabrese.
Ho lottato, e continuo a farlo, perché il diritto alla salute in Calabria possa essere pienamente garantito ad ogni cittadino.
Ho ideato e finanziato con 227 milioni euro, per conto del Governo Draghi, il Cis Calabria – Svelare Bellezza».
Non è facile raccontare una donna come Danila Nesci, avvocato e giornalista calabrese, fino al 12 ottobre 2022 deputato e donna di Governo. È stata sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il Sud e la Coesione territoriale, componente della Commissione Parlamentare Antimafia e della Commissione Affari Sociali e Sanità. Poi, nella XVII Legislatura, componente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, della Commissione Affari Sociali e Sanità, del Comitato Parlamentare per i procedimenti di accusa, della Giunta per le Autorizzazioni a procedere, vicepresidente della Commissione Politiche dell’UE.
A 26 anni entra in Parlamento e dieci anni dopo rimane una delle donne protagoniste della politica italiana. In Calabria lo è ancora di più.
«All’età di 26 anni sono stata eletta in Calabria parlamentare della Repubblica e portavoce del M5S. In quegli anni, ho ricoperto la carica di vicepresidente della XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea e sono stata membro della XII Commissione Affari Sociali, della Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e vigilanza dei servizi radiotelevisivi, nel Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa e nella Giunta per le autorizzazioni. Da allora, senza sosta, ho lavorato per il risanamento economico, culturale, politico e sanitario della mia terra, senza mai perdere di vista l’orizzonte nazionale».
– Nata a Tropea 37 anni fa, Dalila Nesci, laureata in Giurisprudenza all’Università Mediterranea di Reggio Calabria…
«Della mia terra custodisco le bellezze. Combatto, invece, contro abusi e apparati che causano dipendenza dalla politica e nuova emigrazione, quella dei più giovani. A partire dal 2009 mi sono attivata nel MeetUp di Reggio Calabria e ho curato la presentazione, nel Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, della mostra “All’ombra dell’Unità d’Italia” con l’intento di approfondire la storia dell’unificazione nazionale e per il superamento della questione meridionale. Da parlamentare non ho mai taciuto sulla gestione mafiosa di sanità e ambiente in Calabria, depositando corrispondenti denunce in tutte le Procure.
Sono stata la promotrice, a Reggio Calabria, dell’iniziativa pubblica “La notte che spazza il sistema”, a seguito dell’uscita dell’ordinanza di custodia cautelare relativa all’operazione “Mammasantissima”».
Un giorno, quando qualcuno scriverà la vera storia del Movimento Cinque Stelle, non potrà non raccontare anche la storia personale di questa “guerrigliera” piena di passione civile e di entusiasmo per la vita, che in Calabria ha profondamente segnato l’evoluzione, la crescita e la maturità del Movimento…
«Sono convinta che, solo facendo proprie le parole guerriere di pace, democrazia e rappresentatività, potremo organizzare azioni coerenti davvero evoluzionarie, che mirino, prima di tutto, a salvaguardare l’integrità della persona umana, nel quadro di una società, nazionale e di una nuova politica europea, più solida e coesa».
Una leonessa, protagonista di mille battaglie politiche importanti in tutto il Mezzogiorno d’Italia. Intelligenza viva, donna padrona del mondo e di se stessa, intellettuale vivace poliedrica e di grande fascino. A tratti aggressiva, a tratti dolcissima, come tutte le donne del Sud.
«Traendo spunto anche dall’attività del dott. Roberto Di Bella, ex presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, volta a strappare i figli degli ‘ndranghetisti da un destino viceversa ineluttabile, ho presentato una proposta di legge intitolata “Liberi di Scegliere” che prevede l’introduzione di specifici provvedimenti per la protezione e l’assistenza dei minorenni in pericolo appartenenti a famiglie mafiose. Ritengo, infatti, doveroso introdurre misure a tutela dei minorenni che subiscono nel corso della vita un vero e proprio indottrinamento mafioso attraverso il quale, anche se non imputabili, vengono coinvolti in attività delittuose o subiscono violenze. Lo strumento normativo per cui mi sono battuta è molto chiaro: bisogna prevedere la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale di coloro che appartengono ad organizzazioni malavitose di tipo mafioso allorquando si riscontri un concreto pregiudizio all’integrità psico-fisica dei minori».
Oggi Dalila Nesci non è più parlamentare. Lei ci sorride sopra, ma questo è il prezzo che si paga quando si fanno scelte di libertà e di indipendenza come la sua.
«Ho percorso, solo in Calabria, circa 200 mila chilometri con la mia auto, ho donato alla collettività oltre 230mila euro della mia indennità e ho scritto più di tremila atti tra interrogazioni, esposti, emendamenti, diffide e note formali. Ho presentato, inoltre, diverse proposte di legge, tra cui una per istituire la Commissione Parlamentare d’inchiesta sui crimini bancari, oggi operativa; un’altra, chiamata “Elezioni Pulite”, approvata alla Camera, contro il voto di scambio e i brogli elettorali; una per indagare sulla sicurezza dei punti nascita, visto il numero di bambini e le madri morti di parto in Calabria; una per recuperare le centinaia di milioni di euro che la sanità calabrese deve ricevere dallo Stato».
Ma oggi lei non è più neanche parte del Movimento Cinque Stelle. Se n’è andata via sbattendo la porta insieme a Luigi Di Maio, e quando lasciò il Movimento sapeva benissimo che le avrebbero fatto pagare tutto questo. Ma lei, tosta come una roccia, non ha esitato un solo attimo a ribellarsi e lasciare, dopo la decisione di Giuseppe Conte di “picconare il Governo Draghi”.
Degna figlia della storica rupe di Tropea. Anima e roccia, pietra dura e magia dei tramonti lì di fronte.
Oggi per lei è una stagione di silenzio, una sorta di “anno sabbatico”, una pausa di riflessione, forse anche di studio e di analisi, per decisioni future di cui certamente sentiremo parlare molto presto. La cerchiamo proprio per questo.
– Buongiorno onorevole…
«Mi dai del lei? Siamo prima di tutto colleghi e non posso esimermi dal dichiarare grande stima per il tuo percorso professionale».
– Intanto, ti ringrazio. Partiamo allora da un tema che ti è sempre stato molto caro, la libertà e il pluralismo dell’informazione. Da sempre ti batti per il pluralismo dell’informazione: ci credi ancora?
«In un mondo globalizzato che chiama l’umanità a decifrare e affrontare sfide nuove di portata planetaria, ne abbiamo di certo bisogno. Pluralismo in politica e di voci intellettuali. Le nostre comunità abbisognano di chiavi interpretative della realtà che cambia in modo repentino».
– Come nasce la tua passione per il giornalismo e a che condizioni accetteresti di farlo oggi?
«Sin da giovanissima ero curiosa di indagare la realtà del territorio calabrese dal punto di vista di giovane donna del Sud. Sono nata a Tropea e mi sono laureata in giurisprudenza a Reggio Calabria, fiera di poter creare valore nella mia regione. Ho sempre voluto dare un contributo al dibattito culturale e politico.
Confesso, per la prima volta, che non mi abbandona mai il sogno di vedere nascere una testata giornalistica calabrese di ispirazione cattolica, in cui poter lavorare, in team con giornalisti giovani e di esperienza, per raccontare il mondo del volontariato e dell’impegno nel sociale».
– Che ruolo credi possa ancora avere il giornalismo al servizio della Calabria?
«Il giornalismo non deve interpretare ruoli. Se commettiamo la leggerezza di degradare il giornalismo a “missioni” o interpretazioni del momento, si fanno danni enormi. Il giornalista può avere a disposizione, ad esempio, strumenti nuovi dati dalla modernità o essere esperto in determinati argomenti, ma la sua etica e professionalità sono la precondizione per esser definito tale. E aggiungo che, se da un lato, registro in Calabria, la carenza di confronti culturali e politici mediatici permanenti o comunque alternativi alla modalità e ai tempi delle tribuna elettorale, dall’altro lato, in qualità di politico, non posso dimenticare che la prima responsabilità, nella mancanza di consessi di dibattito plurale, è da imputare agli ambienti di partito che sono evanescenti».
– Credi che la narrazione della Calabria sui grandi giornali sia oggi quella giusta, o vada invece “rivista”?
«Per la sua storia millenaria, la Calabria non ha bisogno di essere narrata o sceneggiata, ma rappresentata. In molti contesti la Calabresità non emerge a dovere e spesso fatica ad incarnarsi in pensiero mediatico o in personalità capaci di divenire punto di riferimento consolidato per l’opinione pubblica. Il giornalismo dovrebbe raccontare con continuità, dalla Calabria, i suoi rappresentanti del mondo culturale, artistico, politico, imprenditoriale e giovanile, anche quelli emergenti, rinunciando – qualche volta – alla dinamica da hype. Purtroppo, negli ultimi 15 anni, ho vissuto, osservato e denunciato dinamiche poco professionali e coni d’ombra mediatici creati ad hoc, che rallentano il processo di emancipazione culturale delle nostre comunità calabresi».
– Da anni non fai che ripetere “guai a non credere nel pluralismo e nel ruolo dell’informazione”. Fino a un anno fa il giornalismo aveva il sindacato unico. Ora è nata la Figec Cisal a cui ti sei iscritta tra i primi volendo essere tra i soci fondatori. Immagino che ritieni tutto questo un valore aggiunto al dibattito in corso nel Paese e per il mondo del giornalismo italiano…
«Lo ritengo molto utile, ne avevamo bisogno! Mi sono iscritta alla Figec per rilanciare la mia partecipazione e attenzione al mondo del giornalismo che è in continua evoluzione. Sono pronta a mettere a disposizione il mio percorso di esperienza nelle relazioni istituzionali. Dobbiamo tutti unire le forze: la categoria dei giornalisti merita più garanzie e dignità nel lavoro».
– Come imagini il futuro della Figec Cisal?
«Fondamentale, ne avevamo bisogno! E spero possa essere, sempre, punto di riferimento per il mondo istituzionale a favore della categoria dei giornalisti, che merita più garanzie e dignità nel lavoro».
– Posso chiederti cosa farai da grande?
«Lo vedremo insieme. Lo prometto a tutti i colleghi della Figec e a tutti i lettori di Giornalisti Italia. Lo vedrete e lo vedrà la gente a cui ho dedicato i miei anni migliori e le mie passioni più forti. Guai a fermarsi, o peggio ancora, a vivere guardandosi indietro». (giornalistitalia.it)
Pino Nano