REGGIO CALABRIA – È morto oggi Antonio Latella, storico capo ufficio stampa del Comune di Reggio Calabria, ma soprattutto giornalista a tutto tondo. Nato a Pellaro di Reggio Calabria il 1° gennaio 1945, laureato in Scienze Politiche all’Università di Messina e in Sociologia alla “Carlo Bo” di Urbino, era giornalista professionista iscritto all’Ordine della Calabria dal 4 dicembre 1986, dopo tanti anni di pubblicismo e altrettanti di faticoso precariato dedicati ad inseguire il tesserino e il diritto di lavorare.
Professionista con Il Giornale di Calabria, ha lavorato per centinaia di testate, tra cui Telespazio Calabria, Agenzia Italia, Il Mattino, la Sicilia, La Gazzetta del Mezzogiorno. Un giornalista a tutto tondo in tutti i settori della professione: dalla cronaca nera alla politica, allo sport; e su ogni mezzo d’informazione: dalla radio alla televisione, dai periodici ai quotidiani, dalle agenzie di stampa al web. Un giornalista attento e scrupoloso in una terra troppo spesso avara con chi lavora con passione e abnegazione, senza mai guardare l’orologio se non per rispettare l’invio di un servizio, un articolo o un comunicato stampa, per organizzare una conferenza stampa, seguire un sindaco poco incline ai rapporti con i giornalisti o un interminabile Consiglio comunale, trascorrere intere notti sul luogo di un delitto o un sequestro di persona, alzarsi all’alba per seguire un’operazione di polizia, affrontare lunghe e faticose trasferte in giro per l’Italia per garantire la radiocronaca di una partita di calcio della Reggina trasmessa da un’emittente locale.
Antonio Latella è stato tutto questo e tanto altro. Forse anche troppo, considerato che, negli ultimi anni, sebbene duramente provato dalla malattia e profondamente addolorato per la perdita della sua Stella, la santa donna con cui ha condiviso ogni attimo della sua vita e cresciuto con infinito amore due figli, i colleghi Angela e Giampaolo, ai quali ha insegnato a tenere sempre fede agli inderogabili valori della vita: lealtà, rispetto e tanto studio perché nessuno ti regala niente. Valori che Antonio aveva imparato amando uno sport duro, crudele e spietato come il ciclismo, nel quale ogni pausa o distrazione ti fa perdere contatto con i battistrada mettendoti fuori gioco.
Antonio il ciclismo l’aveva nel sangue. L’ha seguito non solo come giornalista (oltre alle migliaia di articoli e servizi per testate ed emittenti, per tanti anni è stato corrispondente di Tuttociclismo, organo ufficiale della Federciclo), ma anche come dirigente e giudice di gara. È in queste vesti che l’ho conosciuto in una lontana e indimenticabile edizione della “Coppa Città di Palmi”, una corsa su strada resa infernale da un percorso massacrante e un sole d’agosto che scioglieva l’asfalto. Lui giacchetta grigia, cronometro e fischietto, io quindicenne che, in sella ad una “Torpado” celeste, nonostante i tre anni in meno dei più esperti juniores, ero riuscito a dare battaglia nei circa 90 chilometri di gara e per tutti mi ero abbondantemente guadagnato la “coppa per il più combattivo”.
Al momento della premiazione, però, Antonio Latella assegnò il premio a un altro corridore, tra le proteste del pubblico e della mia squadra e l’incredulità di mio padre Nicola che, invece di unirsi alla contestazione, mi disse che il verdetto andava accettato e rispettato perché «se si ha talento una coppa non cambia le sorti di una carriera». Poi, in macchina, papà mi spiegò che in fondo era giusto così perché, essendo entrambi di Reggio Calabria, se Latella l’avesse assegnata a me, la scelta avrebbe potuto suonare come un favoritismo.
Nella sostanza, mio padre non aveva fatto altro che anticipare quello che Antonio, qualche anno dopo, mi confessò guadagnandosi il mio “vaffa” ma facendoci esplodere in una fragorosa risata che sancì l’inizio di un’amicizia durata 45 anni. Con non pochi contrasti, certo, a volte anche aspri ma sempre caratterizzati dal rispetto, la stima e soprattutto l’affetto di una sana e solida amicizia che in tanti hanno tentato di scalfire, ma nessuno è mai riuscito a intaccare. Sia nel ciclismo che nel giornalismo che, per quindici anni, ci ha visti impegnati nell’avventura del Giornale di Calabria di Peppe Soluri, in una redazione di Reggio Calabria spesso trasformata in trincea, con colleghi come il fotoreporter Ninì Battaglia, Saverio Occhiuto, Enzo Lacaria, Francesco Catanzariti, Aldo Varano, Pippo Praticò, Paolo Marra, Tito Borruto, Filippo Diano, Rocco Musolino, Michela Surace, Giorgio Belmonte, Paola Abenavoli, Paola Suraci, Manuela Lacaria, Maria Barresi, Francesco Tiziano, Giorgio Neri, Carmelo Regolo, Titti Vinci, Lilia Milici e tanti altri giovani – oggi colleghi affermati – uniti e animati soprattutto dal genuino entusiasmo della professione.
Antonio Latella, oltre che un amico, è stato un maestro e anche se dopo pochi anni, da allievo sono diventato il suo caporedattore, da lui c’era sempre qualcosa da imparare. Tant’è che, dopo la costituzione della Figec, è stato tra i primi a chiamarmi: «Giovanotto, ricorda che sono stato segretario provinciale della Cisal e, pertanto, voglio essere tra i fondatori del nuovo sindacato dei giornalisti». Tra un suo ricovero e l’altro in ospedale ci siamo visti due volte e sentiti varie volte al telefono. Voleva essere tenuto costantemente aggiornato e mi parlava dei progetti di formazione che avremmo dovuto sviluppare insieme all’Associazione Sociologi Italiani di cui è stato presidente.
Come vedi, caro Antonio, anche oggi mi hai costretto a scrivere «perché il giornalista non può cedere ai sentimenti». Come mi hai costretto a farlo per raccontare la tragica morte dei miei tanti, troppi, amici ciclisti, travolti da pirati della strada. Oggi, però, questa “costrizione” ha avuto un valore diverso. Mi ha riportato sulle strade della mia gioventù: il sole di Calabria che picchia senza pietà, l’odore del mare che costeggia la costa, i profumi di zagara e gelsomino, l’acqua fresca spruzzatami in faccia dal pubblico per rinfrescarmi durante le corse, le vittorie e le sconfitte; le interminabili giornate e nottate trascorse in redazione o per strada a caccia di notizie, dimenticandosi spesso di mangiare; gli scoop dati e i buchi presi; le minacce di querele e non solo; l’odore terribile, che per giorni si impossessa di te, dell’acqua dei vigili del fuoco che lavano il sangue dei morti ammazzati (e noi ne abbiamo visti un migliaio durante la guerra di mafia); la fatica, tanta fatica, per fare da soli quello che generalmente si fa in tanti; le battaglie sindacali per la professione in realtà dove si confonde il diritto con il favore e fare bene il proprio mestiere significa essere “diversi”, cioè rompicoglioni da isolare e magari annientare.
Tu, però, caro Antonio, costringendomi a scrivere questo pezzo, oggi mi hai regalato anche la gioia di rivedere il sorriso dei tanti disgraziati ai quali abbiamo dato voce e che, grazie ai nostri articoli, hanno avuto giustizia o ottenuto una casa, un lavoro, un letto in ospedale.
Certo ho riavvertito la puzza delle sigarette in redazione, insopportabile per chi come me non ha mai fumato, riascoltato l’incessante ticchettio delle macchine da scrivere e delle telescriventi, il sibilo del fax e il fischio dello stesso all’esaurimento della carta.
Ho riascoltato, però, le voci che hanno accompagnato e caratterizzato, nel bene e nel male, la mia vita e che oggi in te hanno avuto il filo conduttore. Quasi un “Filo diretto”, come quello che saggiamente ti aveva affidato Tony Boemi a Telespazio.
Come vedi, caro Antonio, la morte in fondo è solo una convenzione. Un traguardo che tutti siamo destinati a tagliare e per il quale non è importante l’ordine d’arrivo perché non esiste una classifica e il podio non ha gradini più alti o più bassi. Conta solo come e quanto si è fatto nella vita. E tu, caro Antonio, hai fatto tanto e di questo possono esserne fieri i tuoi figli, Angela e Giampaolo, ai quali va il mio più affettuoso abbraccio.
Forse non ti intitoleranno una strada o una piazza, come non hanno fatto, se non in rare occasioni, nell’assegnarti un premio. Ma questo – ci abbiamo sempre riso sopra – è un merito perché in giro ci sono più premi che giornalisti. Quel che è certo è che in Calabria sei stato un protagonista e, soprattutto, una persona perbene. E questo nessuno potrà negarlo. Così come è certo che ci siamo voluti sempre bene, soprattutto quando abbiamo fatto credere a qualche sindaco di aver litigato. Ci si vede. (giornalistitalia.it)
Carlo Parisi
FUNERALI A BOCALE
I funerali di Antonio Latella saranno celebrati a Reggio Calabria, mercoledì 5 luglio alle ore 17, nella Chiesa parrocchiale dei Santissimi Cosma e Damiano della frazione Bocale.