ROMA – Il Consiglio Superiore della Magistratura ha trasmesso al Procuratore Generale della Corte d’Appello di Lecce l’esposto di Pierluigi Roesler Franz nei confronti di un Pm onorario del tribunale di Lecce che aveva chiesto il carcere per 4 giornalisti accusati di diffamazione.
Il caso, come ampiamente riferito da Giornalisti Italia il 24 ottobre scorso, è stato sollevato da Pierluigi Roesler Franz, componente della Giunta Esecutiva della Figec Cisal e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, già presidente del Sindacato Cronisti Romani e cronista giudiziario per 34 anni nelle redazioni romane del Corriere della Sera e de La Stampa, accreditato alla Corte dei Conti, la Corte Suprema di Cassazione e la Corte Costituzionale.
Tutto nasce dalla notizia, pubblicata nelle pagine dei giornali della Puglia e nelle edizioni online di vari quotidiani – non smentita da fonti ufficiali – che un pubblico ministero onorario del tribunale di Lecce (un cosiddetto Vpo) di cui non si è, però, fatto il nome, ha chiesto la pena di 6 mesi di reclusione per tre giornalisti de “Il Fatto Quotidiano” online, de La7 e de “Il Tempo” per aver riferito, sulle rispettive testate, della causa di lavoro promossa contro l’ex ministro Teresa Bellanova – peraltro ex sindacalista – dal suo ex addetto stampa.
L’accusa per i tre cronisti (rispettivamente Mary Tota, Danilo Lupo e Francesca Pizzolante) era stata inizialmente di diffamazione e concorso in tentata estorsione, ma era stata poi circoscritta alla sola diffamazione.
Il processo è arrivato ora alle conclusioni del pm onorario a ben 8 anni dall’inizio del procedimento, avviato dopo la querela dell’esponente ex del Pd e ora presidente di Italia Viva. L’ex addetto stampa aveva citato in giudizio l’on. Bellanova (ex sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi, poi ministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel II governo Conte e da ultimo viceministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel governo Draghi) per vedersi riconoscere il giusto inquadramento contrattuale e la giusta retribuzione.
Su questa vicenda, di recente, la Corte d’Appello di Lecce ha, però, dato ragione al lavoratore, accogliendo le sue richieste e condannando l’ex ministro Bellanova.
Ciononostante, è andato ugualmente avanti il procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa, nel quale è imputato anche l’ex addetto stampa e per il quale la richiesta del pm onorario è addirittura di un anno di reclusione.
Nell’esposto al Csm, Pierluigi Roesler Franz ha ricordato che con la nota sentenza n. 150 del 2021 la Corte Costituzionale (presidente Coraggio, relatore Viganò) ha dichiarato:
1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa);
2) l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato);
3) non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
– che in particolare le questioni esaminate dall’Alta Corte costituzionale erano state sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto, tra l’altro, con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le questioni erano tornate all’esame della Corte un anno dopo l’ordinanza n. 132 del 2020 che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia;
– che la Corte, dopo aver preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa;
– che era stato, invece, ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità ove si determini una grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza;
– che la sopra riportata notizia della richiesta del carcere da parte del Pm onorario nei confronti dei quattro giornalisti accusati di diffamazione ha suscitato notevole allarme e viva preoccupazione nella categoria tanto che, il 20 ottobre 2022, è intervenuto Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (ente pubblico vigilato per legge dal ministero della Giustizia) con un duro comunicato dal titolo: “Ancora carcere per i giornalisti, ora basta! Pm chiede sei mesi di reclusione per tre giornalisti accusati di diffamazione a mezzo stampa”.
Vedremo quali saranno gli sviluppi alla luce del fatto che, il 15 novembre 2022, i giornalisti incriminati sono stati assolti con formula piena dal tribunale di Lecce. (giornalistitalia.it)
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