ROMA – Con un’importante decisione molto argomentata e da leggere con attenzione, che risolve una problematica rimasta fin troppo a lungo insoluta, la Cassazione ha finalmente riconosciuto l’attività giornalista subordinata a quattro fotografi della redazione romana del Corriere della Sera.
In accoglimento di un ricorso dell’avvocato Marco Gustavo Petrocelli, legale dell’INPGI 1 (ente confluito per legge nell’INPS il 1° luglio scorso, cioè – per una singolare circostanza – oltre un mese prima del deposito delle 19 pagine della motivazione dell’ordinanza nella cancelleria del “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma, ndr) è stata così annullata la precedente sentenza emessa 6 anni fa dalla Corte d’appello civile di Roma che, pur condannando la società RCS Media Group al pagamento in favore dell’INPGI (ora INPS) di 342 mila 814 euro per contributi previdenziali e relative sanzioni dovuti per tre giornalisti in base ai risultati del Servizio ispettivo dell’ente di via Nizza, aveva, invece, ritenuto non dovuti i contributi per quattro fotografi.
Ma la Cassazione ha ora ribaltato il verdetto di 2° grado dando pienamente ragione non solo all’INPGI 1 (ora INPS), ma soprattutto ai quattro fotografi che – anche se si dovrà attendere ancora altro tempo per un nuovo e ultimo verdetto della Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che, però, dovrebbe essere ormai solo una pura formalità perché sono stati contestualmente respinti in via definitiva tutti gli 8 motivi del controricorso della società RCS Media Group – potranno ottenere l’accredito di tutti i contributi arretrati dovuti e vedersi finalmente anche riconosciuta dal competente Ordine territoriale la compiuta pratica giornalistica con cui poi accedere all’esame da professionisti.
Questa vicenda, tuttavia, ripropone con evidenza l’inaccettabile lentezza del pianeta giustizia del lavoro soprattutto nella capitale d’Italia. Infatti, come già avvenuto in altri recenti casi, anche in questo si dovranno attendere addirittura più di una quindicina d’anni prima che venga emessa una sentenza passata in giudicato. Ciò appare inaccettabile alle soglie del 2023. E ci si chiede: perché, soprattutto a Roma, le cause di lavoro, comprese quelle di natura previdenziale-pensionistica durano così a lungo? Non si violano, forse, numerose sentenze europee emesse a ripetizione negli ultimi 30 anni dalla CEDU in tema di ragionevole durata del processo che espongono poi l’Italia anche al rischio di essere condannata a risarcire pesanti indennizzi proprio per gli ingiustificabili e gravi ritardi del “sistema giustizia civile”?
Poiché, però, una giustizia a scoppio ritardato si traduce di fatto in una denegata giustizia, la FIGEC segnala questo delicatissimo tema all’attenzione del nuovo Governo e del nuovo CSM, presieduto dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, affinché lo affrontino al più presto e lo risolvano alla radice nel migliore dei modi con equità, saggezza ed equilibrio.
Pierluigi Roesler Franz
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